Just Dance: Gangman style (per info sul testo chiedere a Cheggioia che la sa tutta!!!)
Scrivere
il nome del clown votato e la motivazione valida e mettere il biglietto nella
scatola.
questo esercizio può essere utile
nelle stanze di ospedale, eventualmente coinvolgendo anche i parenti
Spieghiamo bene ai narratori come
fare per tenere l'attenzione e mandare avanti una storia
Dividiamo a gruppi di 6, che
resteranno costanti per tutta la serata.
Ognuno dovrà scegliere una
favole/film famoso che sia conosciuto da tutti, poi sarà da improvvisare più
volte, diminuendo sempre di più il tempo mantenendo il senso della storia.
Inizialmente il tempo sarà di circa 2 minuti, poi 30 secondi e infine 10
secondi (rispettare il tempo)
Sempre gli stessi gruppi di 6,
all'interno di ogni gruppo dovrà essere scelto un narratore, al quale POI
consegneremo una storia che gli altri dovranno metterla in scena (tempo di
preparazione/lettura 3 minuti).
La durata della storia sarà al
massimo 3 minuti.
Al momento della rappresentazione
il conduttore cambierà il narratore di ogni gruppo (ovvero: sul palco ci sarà
il gruppo A e la storia la racconterà il narratore del gruppo B. NB: il
narratore dovrà narrare la propria storia, saranno gli attori a dover
improvissare).
A
coppie. A sta davanti ed è il “tassista”. B è dietro e poggia una mano al
centro della schiena dell’altro, e deve seguire il “tassista” mantenendo gli
occhi chiusi. "A" può fare quello che vuole, girare, fermarsi,
correre, andare piano, all’indietro, ecc ecc, l’importante è che sia
consapevole di essere responsabile della sicurezza dell’altro.
FAVOLE PER FAVOLEGGIARE |
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IL FANTASMA PUZZA PAZZA
C'era una volta in un paese lontano in
un castello stregato un fantasma che tutti chiamavano Puzzapazza.
Tutti gli abitanti del villaggio vicino
si rifiutavano di andare al castello, non volevano proprio saperne del fantasma
Puzzapazza e lui si chedeva il perchè. Non aveva mai spaventato nessuno e si
pettinava e cercava di vestirsi sempre per bene, era ben educato, chiedeva per
favore....
Insomma proprio non riusciva a capire
perchè tutti lo evitassero.
Una sera piovosa in autunno arrivò al
castello un viandante, il castello stregato non era certo un posto invitante
per passare la notte, ma faceva ormai molto freddo e buio e il temporale era
forte. Così il viandante decise suo malgrado di bussare alla porta del
castello.
Il fantasma Puzzapazza non credeva alle
sue orecchie ed era felicissimo di avere visite! fece accomodare il viandante
nel castello con tutti gli onori, ma proprio mentre entrava in salotto gli
scappo un PRRRRTTT! Mamma mia! Il viandante quasi sveniva per la puzza! Così il
fantasma Puzzapazza cercò di aiutorlo e sorreggerlo ma PRRRTTT! Gliene era
scappata un'altra! Il viandante era davvero disperato per la puzza! Scappava in
tutte le stanze del castello cercando una stanza meno puzzolente, ma il
fantasma lo seguiva cercando di scusarsi e dall'agitazione continuava a fare
PRRRTTT e PRRRTTT! Il viandante scappò da una porta laterale e corse corse e
corse il più lontano possibile!
Puzzapazza rimase triste e disperato
solo al castello.
Ma il viandante che era una buona
persona, quando iniziò a respirare aria profumata, si ricordò di quanto era
stato gentile il fantasma Puzzapazza ad accoglierlo nel suo castello stregato e
a quanto aveva cercato di scusarsi, così decise di aiutarlo! Ma prima di
tornare indietro si munì di una maschera antipuzza!
Il Fantasma Puzzapazza non credeva ai
suoi occhi, mai nessuno era tornato al castello per ben due volte!!!! Così
aiutato dal viandante che indossava la maschera antipuzza si scoprì che il
fantasma mangiava solo fagioli stregati e quindi poverino non era certo colpa
sua se pe luzze gli scappavano in continuazione! Dopo pochi giorni di una dieta
più equilibrata il problema che durava da tutta la vita del povero Puzzapazza
era risolto! Così tutti gli abitanti vicini furono invitati ad una magnifica
festa al castello stregato! Che meraviglia! Tutto era profumato, pulito e
ordinato proprio come piaceva al fantasma Puzzapazza, che da quel giorno
finalmente fu pieno di amici con cui si divertiva tantissimo!
IL
COCCHIERE CHE SAPEVA DISEGNARE
Romualdo era un semplice
cocchiere, anche se era al servizio del re, ma amava dipingere e aveva un
eccezionale talento per la pittura. Tutti i suoi quadri sembravano vivi e
parlanti, però quello che lui preferiva era il ritratto della sorella, alla
quale era affezionatissimo. Lo aveva messo nella sua camera, nelle scuderie
della reggia, e quando si sentiva triste parlava al quadro e gli pareva che
la sorellina gli rispondesse davvero.
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Tutti quei mormorii
incuriosirono gli altri servi, che guardarono dal buco della serratura e
scorsero il quadro, ma solo il viso, senza neanche la cornice. Scambiarono il
ritratto per una fanciulla in carne ed ossa e subito cominciò a circolare la
voce dell’indescrivibile bellezza dell’ospite misteriosa che il cocchiere
teneva nascosta. Venne a saperlo lo stesso re e anche lui andò a spiare dal
buco della serratura. Scorse il viso incantevole e se ne innamorò ma, dato
che la fanciulla esisteva veramente, si potè rimediare: Romualdo portò a
corte la sorella e il re la sposò.
Così
la fanciulla divenne regina e il cocchiere potè dedicarsi soltanto ai suoi
quadri.
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I TOPOLINI DI PASQUALINO
Un giorno un ragazzino discolo di nome Pasqualino, decise di scappare
di casa e di imbarcarsi in una nave che trasportava materiale da costruzione.
Così iniziò a lavorare duramente come mozzo sulla nave. Quando fu ormai troppo
lontano da casa, cominciò a rimpiangere la sua famiglia e si pentì amaramente
di averne combinata un’altra delle sue. La sua scelta era stata affrettata ed
ora non poteva far altro che continuare il suo viaggio interminabile. Nessuno
aveva il tempo né la voglia di parlare con Pasqualino, tanto era faticoso il
lavoro dei marinai della nave. Anche il piccolo mozzo sgobbava tutti i giorni,
e alla sera le sue mani indolenzite gli ricordavano che aveva intrapreso una
strada troppo dura per la sua giovane età. Un giorno, il piccolo mozzo fu
mandato a pulire la stiva, e lì fece uno strano incontro. La stiva era
infestata da minuscoli topolini, che per giunta erano sempre allegri per via del profumo di formaggio che
usciva dalle casse nella stiva Pasqualino
fu felice di tanta allegria, e decise di tornare ogni giorno dai suoi nuovi
amici. Quando il piccolo mozzo raccoglieva qualche briciola dal pavimento, la
infilava in tasca per sfamare i topolini. Le bestiole, quando sentivano i passi
del ragazzo facevano sempre un gran fracasso e con le loro feste riempivano il
cuore troppo triste del piccolo mozzo. La loro amicizia era sempre più forte, e
quando gli altri marinai si accorsero che il ragazzo trascorreva il suo tempo
libero con i topini, lo soprannominarono “il sorcio”. I marinai beffardi lo
prendevano sempre in giro, e quando passava facevano il verso del gatto per
mettergli paura. Il viaggio era sempre più lungo, ed il giovane era sempre più
triste. I topini si sentivano in colpa per gli scherzi che il piccolo mozzo
doveva subire tutti i giorni, e quel brutto nomignolo era ormai di dominio
pubblico. Ma l’amicizia è un bene prezioso, e i topolini lo avrebbero
dimostrato al ragazzo non appena se ne fosse presentata la prima occasione.
Durante una notte di tempesta, il piccolo mozzo fu svegliato dalle urla dei
marinai che cercavano disperatamente di salvare le sorti della nave. Nessuno si
curava del ragazzo che atterrito non sapeva cosa fare. Il piccolo mozzo non
riuscì a muovere nemmeno un dito, e mentre i marinai si davano da fare per
portare in salvo l’equipaggio, un’onda gigantesca travolse la nave. Intanto i
topolini si erano arrampicati tutti quanti sull’albero maestro, e squittivano
forte per attirare l’attenzione del loro amico in preda al panico. Quando il
fanciullo si accorse dei suoi piccoli amici, urlò disperato che non era in
grado di salvare neanche loro, e che tutto ormai era perduto. Ma i topini non
stavano chiedendo aiuto, anzi, erano proprio loro ad aver trovato una soluzione
per mettere in salvo anche il mocciosetto! Con i loro denti affilati si misero
d’impegno e riuscirono a rosicchiare l’intera base dell’albero maestro. Quando
quel gigantesco palo cadde in acqua, i topini si tuffarono tra le onde e
nuotarono fino a salire tutti quanti su quella lunga zattera. Fu allora che il
piccolo mozzo capì che i topini avevano pensato anche a lui, e come avevano
fatto le bestiole intelligenti si tuffò in acqua per raggiungere il palo.
Quando la tempesta finì, il ragazzo e i topolini, fortunatamente ancora in
groppa all’albero maestro, giunsero a riva sani e salvi . Appena toccarono
terra, stremati, si addormentarono al sole. Dopo tante peripezie, finalmente il
ragazzo era arrivato vicino casa e la sua avventura era terminata. L’aiuto dei
topolini era stato indispensabile per il piccolo mozzo: per tutta la vita lo
avrebbe ricordato. Anche se ognuno di loro sapeva che non si sarebbero
incontrati mai più, di certo nel loro cuore avrebbero conservato il tesoro
della loro meravigliosa amicizia per sempre.
GLI AMICI FEDELI
Il
cavallo di un giovane paggio era così pasciuto e ben curato che persino alla
volpe venne voglia d’avere quel giovane come per padrone, per essere trattata
altrettanto bene.
Chiese di potersi mettere al suo servizio, fu accettata e in effetti fu
talmente trattata bene che il suo esempio fu seguito dall’orso, dal lupo e via
via da tutti gli altri animali del bosco.
Un giorno i nuovi amici del paggio si preoccuparono di cercare una moglie per
il loro padrone e scelsero la figlia del re.
Fecero in modo che la principessa incontrasse il paggio e se ne innamorasse; ma
il re non approvò la scelta della figlia e la rinchiuse in una torre.
I servi del paggio pensarono a come liberarla. Il gatto si fece seguire fin sul
terrazzo della fanciulla, che l’aquila rapì fulmineamente. Il re, per
vendicarsi, dichiarò guerra agli animali, i quali però chiamarono a raccolta
tutti i loro simili e misero insieme un esercito così numeroso, che il re preferì
arrendersi.
Perdonò il paggio e gli concesse la mano della figlia; da allora i due vivono
felici, circondati da tutti i loro amici.
LA BOLLA DI SAPONE
Il
re fu colpito da una gravissima malattia e da quel giorno non fu più lo stesso.
Non c’era più nulla che lo divertisse: ogni cosa lo annoiava e i suoi sbadigli
facevano sbadigliare tutta la corte. Desiderava qualcosa, ma non sapeva neppure
lui che cosa; e come si fa a dare ad un re qualcosa che nessuno sa cos’è?
I suoi ministri fecero venire medici e scienziati da ogni parte del mondo e gli
comprarono passatempi, balocchi, giocattoli sempre nuovi. Ma tutto fu inutile.
Un giorno arrivò alla reggia una vecchietta. “Io ho ciò che vuole il re” disse.
“In cambio mi darete tanto oro quanto peso”.
Venne accontentata, ma, incredibile! , tutto l’oro che si metteva sulla
bilancia non arrivava mai a pareggiare il suo peso. I ministri erano disperati.
Allora la vecchietta scoppiò in una bella risata e disse: “Il re vuole una
bolla di sapone e io gliela dono”. Subito la vecchietta si mise a soffiare in
una cannuccia che aveva intinto in una ciotolina d’acqua saponata.
Il re all’improvviso si sentì di nuovo felice e pieno d’energia, e con lui
naturalmente tutta la corte e tutto il reame.
LA GARA DI SALTO
Un
grillo, un ranocchio e un canguro si sfidarono a chi sapeva saltare più in
alto.
La gara suscitò grande interesse e curiosità: arrivarono dame e cavalieri,
duchi e duchesse, marchesi, conti e damigelle da ogni parte del mondo e, poiché
era impossibile che mancasse un grosso premio, il re promise al vincitore la
mano di sua figlia.
La corte non era stata mai così affollata. I concorrenti sfilarono fra due ali
di tamburini, trombettieri, sbandieratori.
Ci furono cerimonie e discorsi; alla fine per i tre atleti venne il momento di
cimentarsi.
Per la verità il salto fu alto lo fece il grillo; ma saltò così in alto che
nessuno lo vide e i giudici dissero che non aveva neppure spiccato il balzo.
Il ranocchio saltò meno della metà, però era più grosso e lo videro tutti; ma
per sua sfortuna ricadde proprio sulla testa del re e fu squalificato per lesa
maestà.
Il canguro fece appena un saltello, ma fu tanto furbo da ricadere in braccio
alla principessa: e così il premio fu dato a lui, che non era un grande atleta,
ma almeno aveva una buona testa.
MEDEA LA
PRINCIPESSA DELLE ROSE
Tanto
tempo fa in un piccolo regno, viveva una bella principessa di nome Medea.
Tutti
la chiamavano la principessa delle rose, perché aveva i fiori più belli del
regno per il loro colore e delicatezza.
Bella
tra le belle, Medea era la bellezza in persona, aveva i capelli lunghi color
oro e gli occhi azzurro cielo e così era ben voluta da tutto il regno.
Il
suo cuore era del giovane pescatore Ivano e i due innamorati si scambiavano
sguardi d’amore da lontano, perché mai il Rè avrebbe accettato di darla in
sposa ad un pescatore.
Rè
Romualdo, era fiero della bella figlia e di quello che si diceva di lei, ma un
giorno, un ambasciatore del potente regno di Antara, chiese di essere ricevuto
a corte.
“Gli
Antariani, sono nostri vicini, disse Romualdo! Fatelo passare!”
Con
un maestoso inchino, ornato da un cappello pieno di candide piume, il goffo
ambasciatore spiegò al Re la sua venuta.
“Maestà!
È con enorme piacere che le porto il saluti del Regno di Antara e con esso
chiedo il suo permesso di far venire al suo cospetto il figlio del Rè, il
Principe Goldrone I°, per conoscere sua Figlia.”
Rè
Romualdo diventò ad un tratto di colore verde paonazzo, si adagiò sul trono
cercando di mascherare la spiacevole situazione.
Rè
Romualdo sottovoce disse: “Ma vi rendete conto di chi vuole fare conoscenza con
Medea? E’ Goldrone 1°, un uomo spietato e malvagio, solo il nome fa paura! E
poi ha fama di essere un cattivo mago! Sono sicuro vorrà chiedere la sua mano e
poi l’ho visto, è basso, grasso e pelato…. No! Non accetto!” Rispose alzandosi
dal trono Rè Romualdo.
In
un attimo il goffo ambasciatore si trasformò in un coccodrillo enorme, diventò
buio, un temporale furioso si manifestò con tutta la sua potenza sul piccolo regno.
Impietriti, i regnanti si abbracciarono dalla paura.
“Inginocchiatevi
davanti al potente Goldrone 1°!!”
“Come
hai osato minuscolo omiciattolo dire di NO! E hai anche riso di me!!!”
Disse
Goldrone….Guardandolo con due occhi di fuoco…..
“Per
la tua insolenza ti trasformerò in una statua!”
“No!
Ti prego risparmia mio padre! Farò quello che vuoi!” Rispose la bella Medea….
Ma
ormai era troppo tardi, con un incantesimo malvagio, tutto ciò che era in vita,
si trasformò in pietra…..
Medea,
fu trasformata in una rosa, rinchiusa in un cuore di cristallo e portata nel
profondo degli abissi marini.
“Tutto
resterà così finché il cuore non verrà baciato!” In una risata, il malvagio
Goldrone, lasciò il palazzo.
Passò
tanto tempo finché un giorno, un violento terremoto marino, catapultò il cuore
di cristallo fuori dal mare facendolo arrenare vicino alla spiaggia.
Il
continuo dondolare di quella cosa che splendeva, attirò l’attenzione di un
giovane pescatore che rientrava dalla pesca.
Lo
vide, si inchinò e restò meravigliato da quel bellissimo fiore.
“Com'è
bella, mi ricorda Medea, la mia principessa”
e baciò il cuore di cristallo.
Fu
un attimo che in una nuvola di fumo apparve Medea in tutto il suo splendore.
Dall’alto
della spiaggia un fragoroso applauso ruppe il silenzioso canto del mare, era
tutta la corte, con il Re e la regina, l’incantesimo finalmente era finito,
grazie ad un sentimento che non svanirà mai, anche a distanza di anni….. un
sentimento che si chiama: “Amore”.
TREMOTINO
C'era
una volta un mugnaio povero, ma aveva una bella figlia. Un giorno gli capitò di
parlare con il re e gli disse: "Ho una figliola che sa filare l'oro dalla
paglia." Al re, la cosa piacque, e ordinò che ella fosse condotta innanzi
a lui.
La condusse in una stanza piena di paglia, le diede il filatoio e disse:
"Se in tutta la notte, fino all'alba, non fai di questa paglia oro filato,
dovrai morire." Poi la porta fu chiusa ed ella rimase sola. La povera
ragazza se ne stava là senza sapere come salvarsi, poiché‚ non aveva la minima
idea di come filare l'oro dalla paglia; D'un tratto la porta si aprì ed entrò
un omino che disse: "Buona sera, madamigella mugnaia, cosa ti preoccupa
tanto?" "Devo filare l'oro dalla paglia e non sono capace!"
rispose la fanciulla. "Che cosa mi dai, se te la filo io?" disse
l'omino. "La mia collana" rispose la fanciulla. L'omino prese la
collana, sedette davanti alla rotella e filò la paglia in oro entro il mattino.
Quando il re andò a vedere, si meravigliò e fu molto soddisfatto, ma divenne
ancora più avido. Così fece condurre la ragazza in una stanza molto più grande,
piena di paglia, che anche questa volta doveva essere filata in una notte, se
aveva cara la vita. La fanciulla non sapeva come fare, ma all'improvviso si
aprì la porta e l'omino entrò dicendo: "Cosa mi dai se ti filo l'oro dalla
paglia?"
"L'anello che ho al dito" rispose la fanciulla. L'omino prese
l'anello, la ruota e cominciò a ronzare e al mattino tutta la paglia si era
mutata in oro splendente. A quella vista il re andò in visibilio ma, non ancora
sazio, fece condurre la figlia del mugnaio in una terza stanza ancora più
grande delle precedenti, piena di paglia, e disse: "Dovrai filare anche
questa paglia entro stanotte; se ci riesci sarai la mia sposa." Quando la
fanciulla fu sola, ritornò per la terza volta l'omino e disse: "Che cosa
mi dai se ti filo la paglia anche questa volta?" "Non ho più
nulla" rispose la fanciulla”. "Allora promettimi che, quando sarai
regina, mi darai il tuo primo bambino." La ragazza, messa alle strette,
accordò la sua promessa all'omino che, anche questa volta, le filò l'oro dalla
paglia. Quando al mattino venne il re e trovò che tutto era stato fatto secondo
i suoi desideri, la sposò; e la bella mugnaia divenne regina.
Dopo un anno diede alla luce un bel maschietto ma l'omino, entrò d'un tratto
nella stanza a reclamare ciò che gli era stato promesso. La regina gli offrì
tutte le ricchezze del regno, purché‚ le lasciasse il bambino; ma l'omino
disse: "Ti lascio tre giorni di tempo: se riesci a scoprire come mi
chiamo, potrai tenerti il bambino." La regina passò la notte cercando di
ricordare tutti i nomi che mai avesse udito, inviò un messo nelle sue terre a
domandare in lungo e in largo, quali altri nomi si potevano trovare. Il giorno
seguente, quando venne l'omino, ella disse tutta una lunga sfilza di nomi, ma
ogni volta l'omino diceva: "Non mi chiamo così." Il secondo giorno,
ella mandò a chiedere come si chiamasse la gente nei dintorni e propose
all'omino i nomi più insoliti e strani. Ma egli rispondeva sempre: "Non mi
chiamo così." Il terzo giorno tornò il messo e raccontò: "Ai piedi di
un gran monte, vidi una casetta e davanti, intorno a un fuoco, ballava un omino
buffo, che gridava saltellando su di una sola gamba:
"Oggi fo il pane, la birra domani, e il meglio per me è aver posdomani il
figlio del re.
Nessun lo sa, e questo è il sopraffino, Ch'io porto il nome di Tremotino!"
La regina si rallegrò e poco dopo l'omino entrò e le disse: "Allora,
regina, come mi chiamo?" "Ti chiami forse Tremotino?" "Te
l'ha detto il diavolo!" gridò l'omino per la rabbia e andò via sbuffando.
PRIMULA, LA STREGA CONLE ALI
C’era una volta un bosco incantato:
nel bosco vivevano le fate dei fiori, che trascorrevano le loro giornate
svolazzando di fiore in fiore per portare i colori più belli su tutti i petali
delle corolle.
Il bosco abitato dalle fatine era
davvero il più bel bosco del regno, pieno di luce e di tinte meravigliose, e le
stesse fatine erano le artefici e le custodi di tanta bellezza.
Oltrepassato il fiume azzurro, aveva
invece inizio la selva delle streghe, così cupa e tetra da non conoscere altri
colori all’infuori del nero, del grigio e del marrone.
Le streghe vi trascorrevano buona
parte del giorno a cercare senza sosta gli ingredienti per le loro pozioni
magiche e la notte spiccavano il volo in sella alle loro scope.
Quasi tutte le streghe possedevano
una scopa magica: tutte eccetto una, la piccola strega Primula.
Quest’ultima era ancora troppo
giovane per poter volare e così trascorreva le sue giornate a studiare gli
incantesimi che le avrebbero permesso un giorno di poter diventare una brava
strega.
Una mattina, dopo aver camminato per
oltre un’ora nella selva alla ricerca di un’erba magica, Primula scorse da
lontano il fiume azzurro: la piccola streghetta rimase abbagliata da tanta
bellezza e decise di oltrepassare il ponte di legno per andare a conoscere il
mondo delle fate.
Una volta giunta nel bosco
incantato, Primula rimase profondamente colpita dalla moltitudine di fiori
colorati, così belli e luminosi da riempire il cuore di gioia.
Camminando ancora scorse da lontano alcune
fatine che giocavano fra loro: le fatine avevano la pelle chiara come la luna,
gli occhi celesti come il cielo e i capelli biondi come il sole.
Tutte insieme volavano in circolo
scherzando fra loro. Primula le guardava e rimase incantata dalle loro ali:-
Che bello! – diceva Primula fra sé – A loro non occorre la scopa per volare, a
loro basta solo un leggero battito d’ali ed ecco che possono spiccare il volo.
Che meraviglia! Anch’io vorrei poter volare così!
Tutto a un tratto la fatina Ermione
si accorse della presenza di Primula e subito disse alle altre:
- Amiche, c’è una strega laggiù!
Andiamo a scoprire per quale motivo è arrivata fin qui nel nostro bosco
incantato.
Primula indossava la sua veste nera,
aveva i capelli color carbone e gli occhi di un nocciola scuro.
Le fate la scrutarono da capo a
piedi e poi le domandarono: - Perché sei qui? Cosa sei venuta a fare piccola
strega? Vuoi forse rubare i colori del nostro bosco?
- Oh no, non intendo fare
assolutamente una cosa del genere. – rispose loro Primula – Io vorrei solo
imparare a volare come voi, io vorrei poter avere le ali!
- Le ali? – dissero in coro le fate
– Tu vorresti avere le ali? – e tutte insieme scoppiarono in una fragorosa
risata.
- E’ impossibile per te avere le
ali, - le disse duramente Ermione – tu non sei una fata, tu sei una strega.
Primula si rattristò molto. Girò le
spalle e fece per incamminarsi sulla via del ritorno, quando improvvisamente
una nuvola rosa comparve nel bel mezzo del prato: quando la nuvola si dissolse,
Primula si ritrovò davanti Solaria, la regina delle fate.
- Buongiorno Primula, io sono
Solaria, la regina delle fate. Ho ascoltato attentamente le tue parole e ho
deciso di darti una possibilità per riuscire a realizzare il tuo desiderio di
avere le ali.
- Ma lei è una strega, - esclamò
Ermione – Non può avere le ali di noi fate!
- Stai zitta tu, - le rispose
Solaria – ho appena deciso che se Primula riuscirà a superare la prova a cui la
sottoporrò, riceverà in premio un paio d’ali. Il suo desiderio, che è forte e
sincero, merita di essere esaudito.
- Guadagnarmi le ali? – disse
Primula trepidante – Oh, Solaria, ti ringrazio infinitamente: dimmi pure a
quale prova hai deciso di sottopormi.
Con un rapido gesto della mano,
Solaria fece apparire davanti a Primula cento fiori di cristallo.
- Nell’arco di una sola giornata, -
disse la regina delle fate – dovrai fare un incantesimo che doni i colori a
questi fiori; dopo aver compiuto ciò, dovrai essere capace di far scorrere vera
linfa nei loro steli, tramutando il freddo cristallo in soffici petali. A
partire da questo momento hai ventiquattro ore di tempo per portare a termine
l’incantesimo e superare la prova: io tornerò allo scoccare della
ventiquattresima ora per vedere cosa sei stata in grado di fare. Quanto a voi altre,
- disse rivolgendosi alle fatine – dovrete lasciarla da sola e non interferire
in alcun modo con il suo lavoro.
Solaria battè lievemente le mani e
una nuvola rosa avvolse lei e le sue compagne: quando la nube si dissolse,
tutte le fate erano scomparse.
Primula allora si rimboccò le
maniche e si scostò i capelli dal viso, fece apparire davanti a sé un pentolone
di acqua bollente, estrasse dalla sua bisaccia una manciata di ingrediente
magici e iniziò alacremente a preparare la pozione.
La piccola streghetta era sicura di
poter riuscire nell’intento e portare così a termine la prova.
Purtroppo però, la dolce Primula non
immaginava che qualcuno stesse tramando contro di lei: questo qualcuno era la
fata Ermione, gelosa del fatto che una piccola strega come Primula potesse
ricevere le ali fatate dalle mani della regina Solaria.
Quando Primula si distese sul prato
a riposare un po’, Ermione approfittò del sonno della streghetta per lanciare
un incantesimo contro la pozione magica di Primula:
- “Sette colori dell’arcobaleno,
scomparite in un baleno,
nero, grigio, viola e marrone,
impossessatevi di questa pozione!”
Pronunciato l’incantesimo, Ermione
si dissolse in una nuvola lilla: qualcuno da lontano osservò attentamente
quella nuvola dissolversi nel prato dei fiori di cristallo …
Primula, al suo risveglio, corse a
spegnere il fuoco sotto al pentolone e bevve col mestolo un sorso di pozione
magica.
- Zaban! – disse allora pronunciando
la formula magica – Zaban! – ripetè di nuovo.
D’improvviso una nuvola scura abbracciò
il prato dei fiori di cristallo: Primula non comprendeva cosa stesse accadendo,
poiché si aspettava che i colori della nuvola fossero quelli luminosi
dell’arcobaleno.
Quando la nube si dissolse, i fiori
erano tutti appassiti.
Primula spalancò gli occhi
portandosi una mano sul cuore. Come accidenti poteva essere accaduta una cosa
simile?
- Questo prato doveva avere i colori
dell’arcobaleno, - disse a sé stessa la piccola strega – cosa può essere andato
così storto nella mia pozione magica?
All’improvviso le apparve davanti la
fatina Ermione, che sbatteva velocemente le ali e rimaneva a mezz’aria, in modo
tale da poter guardare Primula dall’alto in basso.
- Guarda che cosa hai combinato!
Questi sono i colori più orribili che abbia mai visto sulla faccia della terra:
credi davvero che Solaria ti darà in premio le ali dopo che avrà visto tutto
questo?
Prima che la piccola strega
riuscisse a rispondere, apparve Solaria.
La regina delle fate guardò i fiori
appassiti e disse a Primula:
- Mi dispiace molto, piccola strega:
purtroppo non hai superato la prova e dovrai abbandonare il nostro bosco
incantato senza ricevere il tuo paio di ali. Addio.
La piccola Primula sentì salirle le
lacrime agli occhi, fece uno sforzo per trattenere il pianto, quindi volse le spalle
alle fate e s’incamminò assai mestamente sulla via del ritorno.
Trascorsi pochi passi, Ermione le si
parò nuovamente davanti:
- Tieniti pure questa, - disse
gettandole addosso un’ala di fata – era mia e si è spezzata, ma Solaria me ne
ha già data un’altra nuova di zecca: se anche tu riuscissi ad aggiustarla,
credi forse di poter volare con un’ala soltanto? – pronunciate queste ultime
parole, Ermione scoppiò in una fragorosa risata e volò via.
Primula fece in tempo a gridarle
dietro:- Spero di non assomigliarti mai, fata malvagia! - detto ciò, la piccola
strega raccolse l’ala quasi trasparente e la osservò in controluce – Io so come
ripararla. – disse Primula a se stessa, quindi pronunciò una formula magica e
l’ala spezzata tornò all’istante come nuova: la piccola strega se la mise sotto
il braccio e riprese il suo cammino.
Poco prima di arrivare al fiume
azzurro, Primula incontrò un nuovo personaggio sulla sua strada: stavolta si
trattava di una fatina molto piccina, con i capelli verde acqua e gli occhi
color dell’argento.
La piccola fatina era rannicchiata
su se stessa e singhiozzava sommessamente.
Primula le si avvicinò e le chiese:
- Come ti chiami? Perché piangi? Posso forse fare qualcosa per aiutarti?
La fatina smise allora di
singhiozzare e alzò il suo sguardo luminoso verso Primula:
- Mi chiamo Glicine, - rispose – mi
si è spezzata un’ala e non posso più volare.
- E on potresti chiedere a Solaria
di donartene una nuova? - le suggerì amorevolmente Primula.
- Oh no, io non sono una fata del
bosco incantato, io vengo dalle lontane vallate del nord: Solaria non è la mia
regina e quindi non può aiutarmi in alcun modo.
Primula le porse senza esitazione
l’ala di fata che portava con sé: - Tieni, prendi pure questa: è un’ala di fata
che si era spezzata, ma io ora l’ho riparata grazie a una formula magica. Forse
potrai riprendere subito a volare: su, coraggio, prova a vedere se questa nuova
ala può servire a sostituire la tua.
La fatina Glicine prese l’ala con sé
e in un batter d’occhio spiccò il volo.
- Sei felice adesso? – le domandò
Primula.
- Oh si, Primula, e voglio che lo
sia anche tu.
- Come fai a sapere che mi chiamo
Primula? Non ti avevo ancora detto il mio nome … - la piccola strega non fece
in tempo a terminare la frase che una grande nuvola avvolse Glicine e, quando
la nuvola si dissolse, Primula trovò davanti a sé Solaria, circondata da tutte
le fate del bosco, compresa Ermione – Solaria! – esclamò stupefatta la piccola
strega – Ma dove è finita Glicine?
- Glicine ero io, queste invece sono
le tue nuove ali. – e così dicendo porse a Primula un bellissimo paio di ali
lucenti – Ho visto Ermione gettare di nascosto elementi malefici nella tua
pozione magica, so che senza il suo intervento scorretto saresti riuscita a
superare la prova. Tu sei una brava strega,
soprattutto sei buona e generosa ed è proprio per questi motivi che
meriti il tuo paio d’ali. Quanto a Ermione invece, che è stata ingiusta e
cattiva, questo è quello che si merita! – Solaria schioccò le dita e le ali di
Ermione scomparvero, lasciando che la fata cadesse per terra urtando il suolo
con il fondoschiena.
- Ma Solaria … - si lamentò Ermione
dolente – togli le ali a me che sono una fata e le doni a Primula che è solo
una strega?
- Tolgo le ali a te che sei stata
subdola e sleale e le dono a Primula che ha un animo buono e bello, bello come
i colori del nostro amato bosco.
Fu così che da quel giorno Primula
divenne una strega con le ali, e i suoi lunghi capelli neri ondeggiavano
dolcemente nell’aria quando spiccava il volo.
Primula crebbe e imparò a preparare
mille altre pozioni magiche, si sposò con un mago del cielo ed ebbe tre figli e
nove nipoti.
Ha insegnato a volare a tutte le
persone buone che ha incontrato sul suo cammino: ancora oggi continua a farlo e
pare proprio che il suo lavoro non le verrà mai a noia.